UNA SERATA INSOLITA
Stavamo
tornando dalla festa della nostra amica Anna, inconsapevoli del
terribile pericolo che correvamo.
Era
sabato sera e io e la mia amica Laura avevamo trascorso la serata
dalla nostra amica Anna che compiva quindici anni. Era circa l’una
di notte quando finì la festa e Laura ed io ci siamo avviate verso
casa. Lei è ormai la mia vicina di casa da quando mi sono trasferita
a Chicago. Nel tragitto avevamo notato una macchina che ci seguiva
senza farsi notare, e ciò mi portava a pensare male. Sino a quando
la vidi sfrecciare a tutto gas di fianco a noi due. Tirammo un
sospiro di sollievo. Eravamo stanchissime. Laura mi guardò stupita.
Credeva che quelle persone sulla Station Wagon ci volessero rapire.
Io mi misi a ridere dallo spavento e riconfermai quello che aveva
appena detto la mia amica. Ma quello che era successo non era tutto
un caso, perché appena girammo l’angolo trovammo la stessa
macchina parcheggiata. Non c'era niente nei dintorni, solo qualche
lampione che alternava la luce al buio della fresca sera d’estate.
Io guardai Laura, che con terribile sgomento rabbrividì. Ci
sentivamo osservate ma non riuscivamo a capire chi ci stesse
pedinando.
Aumentammo
il passo, senza scambiarci nessuna parola. Sentivamo solo il frinire
delle cicale, quando ad un certo punto sentimmo una voce. Non ci
voltammo nemmeno, iniziammo a correre. Accecate dalla paura non ci
accorgemmo che una persona era presente sulla strada. Vidi Laura svenire
per lo stupore. Iniziai ad urlare in cerca di aiuto, anche se sapevo
che non sarebbe arrivato nessuno. Mi dispiaceva per la mia cara amica, ma avevo pensato che se almeno io mi fossi salvata avrei potuto
ritrovarla, quindi continuai a correre. Avevo timore che quell'essere
da cui scappavo mi riuscisse a fermare. Non fu così. La stanchezza
ebbe il sopravvento e stremata più che mai mi accasciai a terra e
chiusi gli occhi…
Mi
risvegliai su un letto. Non era il mio. Non capivo dove fossi. Non
capivo chi fossero quelle persone che avevo visto ieri sera.
Una
cosa però mi riscaldava il cuore. Vicino al mio letto c’era Laura
che russava. Dopo un po’ di minuti sentii una porta dietro di me
aprirsi. Mi passò davanti agli occhi un uomo alto sui quarant’anni
con occhi azzurri e i capelli brizzolati. Con sollievo capii che era
un poliziotto e che mi trovavo al sicuro. Poi iniziai a domandargli
dove mi trovassi, il motivo per cui ero lì, e cosa fosse successo.
Lui con tranquillità rispose che eravamo nella centrale di polizia e
che una pattuglia aveva trovato il mio corpo e quello della mia amica
distesi in strada e che eravamo state fortunate a non essere state investite.
Ma la cosa che portò a una reazione di puro terrore è che, arrivati in
centrale, i suoi colleghi avevano ritrovato nelle nostre borse della
droga. E ciò faceva pensare ai poliziotti che ne avessimo fatto uso
e che fossimo svenute per questo motivo. Poco dopo Laura si svegliò.
L’agente le spiegò tutto. Aspettai che finisse di parlare per
raccontargli ciò che era veramente avvenuto, ma lui non si degnò di
ascoltarmi e uscì dalla stanza. Io e Laura ci guardammo. Eravamo
felici di essere al sicuro, ma non avevamo ancora capito chi fossero
le persone della sera precedente e il motivo di tutto
questo. Supponevamo che fossero stati i nostri aggressori a
nasconderci le droghe nelle borse. Decidemmo di scoprire chi fosse il colpevole. Iniziammo ad elencare tutte le persone che c’erano
alla festa e un possibile movente per incastrarle. Infine mi venne in mente che non eravamo mai state
molto a genio alla madre di Anna. Infatti non andavamo a casa sua se lei era presente. Non voleva che frequentassimo sua figlia.
Tutto si collegava perché sua madre faceva la farmacista e poteva
procurarsi le droghe da alcuni farmaci. Ma c’era un problema. Non
avevamo prove. Ci alzammo dal letto, uscimmo dalla stanza e vedemmo
lo stesso agente con i nostri genitori. Mi erano mancati tantissimo,
ma dovevo raccontare tutto al poliziotto. Interruppi la guardia per
raccontarle l’accaduto e ciò che avevamo pensato. Lui, stupito
dalla nostra versione dei fatti, ci rispose con un “so già tutto”
e aggiunse che conosceva l’identità degli aggressori e il movente
dell’accaduto. Da una porta entrò una ragazza della nostra età
che mi sembrava familiare.
Laura a quel punto spalancò gli occhi
L’agente
disse: “è stata lei l’autrice di tutto questo.” Io chiesi al
poliziotto chi fosse, ma mi rispose Laura. Disse che era la sua
vecchia vicina di casa prima che sua madre fosse denunciata per uso
di stupefacenti dai suoi genitori, e che il padre, appena seppe che
aspettava una figlia, scappò di casa. E quindi la povera bambina
venne affidata all’orfanotrofio. Tutto sembrava collegarsi, ma
c’erano ancora tre cose a cui non sapevo dare risposta. La prima
era come si fosse procurata l’auto. E subito la ragazzina che sino
a quel momento era rimasta a tacere mi rispose con aria saccente che
suo padre l'aveva fatta evadere dall’orfanotrofio e che l’aveva
accompagnata in questa avventura. Ma mi rimaneva ancora un
dubbio. Come faceva a sapere che fossimo proprio lì quella sera?
Nessuno seppe rispondere a questa mia domanda. Poi la ragazza disse
che era la madre di Anna a vendere gli stupefacenti a sua mamma e
sapeva che l’avrebbe aiutata di certo. E così si risolse ogni mio
dubbio sulla vicenda.
Ma poi fu Laura ad
intervenire. Non capiva come avesse fatto la polizia a rintracciarla.
Sarah (il nome della ragazza) rispose che fu lei ad auto-consegnarsi
per dimostrarle l’odio e nello stesso tempo l’affetto che provava
nei suoi confronti. Dopo di questo l’agente di polizia ci congedò
e ognuna tornò nella propria casa. I miei genitori continuavano a
chiedermi come stavo, ma il mio unico pensiero era quello di poter
scrivere un racconto sull’accaduto.
Lorenzo D.
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