TITOLO: Ho sognato la cioccolata per anni
AUTORE: Trudi Birger
CASA EDITRICE: Piemme
FRASE PREFERITA: “Ero libera”
TRAMA: Questo
romanzo, autobiografico, è ambientato tra la 2° Guerra Mondiale e il 2° dopoguerra
con la creazione dello Stato d’Israele.
La protagonista principale è Trudi Birger che all’età di 16 anni viene
deportata, dai nazisti, dal ghetto di Kovno al lager di Stutthof.
Trudi viveva, con la sua ricca famiglia, in una comunità ebraica
ortodossa a Francoforte.
La cuoca, la cameriera e la governante, Candy, si prendevano cura di
loro.
I suoi genitori le avevano insegnato a rispettare gli impegni personali e
i propri doveri.
Sua madre Rosel, con cui aveva un legame particolare, indissolubile, era
una donna molto bella, raffinata, istruita e
amava suonare il pianoforte.
Suo padre, Philip, un industriale di successo, era un uomo intelligente,
severo e sicuro di sé e nei confronti di Trudi nutriva una particolare
preferenza.
La loro presenza le permetteva di vivere in un’atmosfera agiata, sicura e
piena d’amore.
Quando Trudi aveva 6 anni, i
nazisti salirono al potere.
Un giorno, mentre era in macchina con i suoi genitori, venne fermata da
alcuni soldati.
Da quel momento si rese conto che suo padre non veniva più considerato il
cittadino colto e raffinato di Francoforte ma semplicemente uno “sporco ebreo”.
Da quel momento la sua vita sarebbe cambiata.
La situazione economica della famiglia cominciò a peggiorare, fino al
punto di doversi trasferire a Memel, una
città portuale sulla costa Baltica.
I suoi genitori, però, cercarono di far vivere a lei e a suo fratello,
Manfred, una vita serena. In quel
periodo partecipava, spesso, ai the danzanti vestita con abiti di organza e
scarpe di vernice e beveva tanta cioccolata calda, il suo dolce preferito.
Il profumo di quella dolcezza l’avrebbe accompagnata per tutta la sua
esistenza. E’ come se fosse stato il simbolo della sua voglia di vivere.
A Memel, Trudi, visse fino al 21
marzo 1939. Successivamente venne
mandata con la sua famiglia a Kovno. Qui cominciò a frequentare una scuola
ebraica.
Dopo qualche mese vi furono altri cambiamenti politici.
I russi, nel 1940, s’impadronirono di Kovno e non si parlava più ebraico ma
yiddish, una lingua simile al tedesco, per cui non ebbe difficoltà ad impararlo.
Oltre a studiare, Trudi, seguiva anche un corso di recitazione. L’idea della
guerra era ancora lontana.
Nel 1941, i russi, decisero che tutti gli ebrei sarebbero dovuti partire
per la Siberia.
Per questo motivo, il padre di Trudi, pagò, di nascosto, un suo amico,
Jonas, che li nascose in una cella frigorifera per tre giorni. Usciti sarebbero
partiti per Shangai ma i nazisti presero il comando e spedirono tutti gli ebrei
nel ghetto di Slobodka, circondato da un
filo spinato.
Erano diventati dei veri e propri prigionieri.
Sui loro abiti vennero cucite le stelle gialle ebraiche.
Gli ebrei non potevano viaggiare, frequentare la scuola, venivano
picchiati, insultati , obbligati a fare i lavori forzati e nessuno di loro
poteva reagire. Non esisteva un tribunale interrazziale o un governo
indipendente a cui chiedere aiuto, e i mezzi d’informazione erano inesistenti.
La famiglia di Trudi viveva in un’unica stanza di tre metri per quattro.
Nel ghetto, Trudi, aveva imparato a sbrigarsela velocemente.
Aveva imparato a preparare il pane e per questo motivo la chiamavano la
“piccola fornaia”; aveva iniziato a lavorar in una fabbrica di calze di seta e
poi nei campi agricoli ma il lavoro che fece per più tempo fu nell’ospedale
militare tedesco. Puliva i bagni insieme alla mamma.
Per raggiungere l’ospedale doveva
percorrere, a piedi, circa tre kilometri ogni giorno.
Anche se aveva paura delle SS sapeva che i nazisti non erano tutti
uguali.
Aveva conosciuto, infatti, un militare molto gentile di nome Alex Benz
che si preoccupava per lei e che le raccontava che la sua famiglia aveva
fondato la Mercedes.
(Lo rincontrò dopo la fine della guerra)
Alex, che si rendeva conto di
quanta sofferenza subivano gli ebrei senza avere nessuna colpa non si sarebbe
mai voluto arruolare ma fu costretto. Non era però un soldato delle SS.
Trudi era lusingata di queste attenzioni. Il giorno che Alex venne trasferito le regalò un orologio d’oro
di grande valore che Trudi riuscì a barattare, di nascosto, per un po’ di cibo;
purtroppo, però, venne scoperta.
Avrebbe dovuto essere fucilata ma i nazisti decisero di non farlo e la
lasciarono libera.
Gli anni nel ghetto furono tremendi e pieni di paura. Ogni giorno
qualcuno veniva ucciso.
Le madri, per far sopravvivere i propri figli, li gettavano oltre il
reticolato, con la speranza che qualche contadino lituano potesse prenderli e
accudirli, cosa che spesso, fortunatamente, avveniva.
Il papà di Trudi venne ucciso, insieme a un centinaio di bambini, perché aveva provato a nasconderli, una volta
scoperto che i nazisti avevano intenzione di fucilarli.
Anche la nonna e lo zio Benno vennero uccisi senza un motivo. La
situazione, ormai, era diventata insostenibile.
Trudi rimase nel ghetto per circa tre anni dal 1941 al 1944.
I Tedeschi si rendevano conto che stavano perdendo la guerra.
L’Armata Rossa si stava avvicinando e gli alleati erano sbarcati in
Normandia.
L’8 luglio 1944 i tedeschi riunirono gli ultimi ebrei rimasti nel ghetto
e li trasportarono, in treno, nel campo di concentramento di Stutthof .
Arrivate a destinazione Trudi e sua madre vennero visitate da un dottore,
che avrebbe deciso il destino di entrambe; Trudi venne mandata nella fila di destra,
che si riferiva alla donne che sarebbero sopravvissute, andando a fare i lavori
forzati, mentre sua madre venne mandata nella fila di sinistra che significava
la morte certa nei forni crematori o nelle camere a gas.
Le donne prigioniere, che venivano controllate dalle “kapò”, donne
tedesche in uniforme, mangiavano buccia di patate e facevano lavori forzati,
come ad esempio preparare le postazioni
per i carri armati che dovevano difendere la citta’, o scavare fosse profonde
di tre o quattro metri che sarebbero servite a contenere i corpi delle persone
uccise.
Trudi, ogni giorno si scontrava con la morte.
Le condizioni di vita erano disumane.
Le persone avevano paura, freddo, fame. Erano psicologicamente distrutte.
La grande forza di volontà, l’attaccamento alla vita, il desiderio di un
avvenire diverso aiutavano Trudi a sopravvivere.
Lottava anche per tenere alto il morale della mamma, con cui aveva un
rapporto indistruttibile. Senza di lei non
sarebbe riuscita a sopravvivere.
Le notti sognava tazze di cioccolato, pane e burro.
Un giorno si ferì gravemente ad una gamba; sapeva che se non fosse
guarita l’avrebbero uccisa. Purtroppo le sue condizioni si aggravarono.
Era arrivata la sua ora. Ma non si scoraggiò. Il comandante del reparto
decise di non farla uccidere.
Anche questa volta, un “miracolo” la salvò dalla morte certa; Trudì non
capì mai per quale motivo il comandante fece quella scelta.
Nel frattempo le cose stavano cambiando.
Dal febbraio 1945 i nazisti smisero di usare le camere a gas ma i forni
crematori continuavano ad essere usati.
Ogni giorno morivano decine di persone.
Durante gli ultimi mesi della guerra i nazisti cercarono di distruggere
ogni prova.
La mamma di Trudi si ammalò di tifo ma poi si ristabilì.
Alla fine di aprile del 1945 cominciò la liberazione finale; le navi
inglesi stavano arrivando e quelle tedesche si erano arrese.
La guerra era terminata e i sopravvissuti erano salvi.
Ricominciare dall’inizio non fu facile.
Inizialmente Trudi e sua madre vennero ricoverate in ospedale per la
tubercolosi.
Una volta guarite cominciarono a ricercare i parenti e gli amici.
Il fratello di Trudi, Manfred e sua moglie Dita vennero identificati nella
lista dei sopravissuti. Vivevano a Francoforte.
Si rincontrarono; erano felici di riabbracciarsi ma si resero conto di quanto
le sofferenze avessero cambiato tutti, sia nell’aspetto fisico che in quello psicologico.
I sopravvissuti spesso erano affetti da malattie nervose, difficili da
guarire.
Un giorno Manfred fece conoscere a Trudi un suo amico.
Si chiamava Zeev ed era un ragazzo
intelligente, educato, parlava ebraico ed era attivista dello Stato di Israele.
Aiutava, clandestinamente, i profughi a immigrare in quello che sarebbe diventato
lo Stato d’Israele; secondo Zeev gli ebrei dovevano vivere nella loro patria.
Trudi e Zeev si sposarono il 30 giugno 1946 e nel novembre 1947
sbarcarono, insieme a Rosel, ad Haifa in
Palestina.
Era l’inizio di una nuova vita.
Nel maggio del 1948 ci fu la dichiarazione di indipendenza dello Stato di
Israele.
Trudi e Zeev ebbero tre figli, Doron, Oded e Gili.
Nel 1965 si trasferirono a Gerusalemme.
Trudi si è sempre occupata di progetti legati sia all’istruzione che alla
cure odontoiatriche di bambini bisognosi senza fare differenze tra bambini
ebrei o palestinesi.
Il presidente
d’Israele le conferì il premio per la sua opera di volontariato.
Trudi, che è
morta nel 2002, decise di scrivere questo libro perché, secondo lei, le persone
dovevano conoscere ciò che era realmente successo durante l’Olocausto, perché
cancellare i ricordi passati significava non considerare chi aveva sofferto e le
persone che non erano sopravvissute.
COMMENTO
Questo libro mi ha molto emozionato.
Rivivere tutto quello che gli ebrei hanno dovuto subire, mi ha fatto capire
quanto l’uomo possa essere disumano e mi ha fatto molto arrabbiare.
Appartenere a razze, religioni, sesso, ideologie diverse, e altro ancora
non deve permettere all’essere umano di limitare la libertà dell’altra persona.
Ognuno è libero di fare o pensare ciò che desidera, sempre nella
correttezza e nel rispetto delle
persone,delle cose e degli animali.
Sarebbe tutto più semplice se ciò avvenisse veramente.
Matilde D. 3C