venerdì 12 ottobre 2018

Racconto liberamente ispirato all'uscita presso la cascina Battivacco


Era un giovedì normalissimo, anche se non fu così. Quel giorno dovevo andare assieme alla mia classe di terza media una cascina nelle vicinanze di Assago.

Poteva essere una comune gita dove saremmo usciti alle 8.15 e rientrati alle 14.30, ma nessuno degli orari venne rispettato.
Partimmo con 40 minuti di ritardo, non a causa di qualcuno, ma per colpa del tempo. Si era scatenata una tempesta imponente che non ci permetteva di lasciare la scuola. Appena diminuì un po’ cogliemmo l’occasione e ci incamminammo. Passammo per un sentiero stretto e sporco che attraversava i campi assaghesi.

A causa della pioggia il terreno si era inumidito e si erano formate varie pozzanghere. Nel tragitto incontrammo svariati animali: dalle brutte e pelose nutrie ai piccoli e viscidi lumaconi.
A parte tutto fu una tranquilla passeggiata, sino a quando non sentii un vuoto sotto il mio piede sinistro. Poco dopo realizzai che ero sprofondato in un buco coperto dall’acqua, alto circa mezzo metro.
Urlai cercando di fermare il gruppo, così tutti si girarono e vedendomi in quelle condizioni scoppiò una grassa risata (non posso biasimarli, avrei riso anch’io), fatta eccezione per i professori che vedendomi così si preoccuparono. Subito mi domandarono cosa fosse successo e se riuscissi ad alzarmi. Io stavo bene, ma avevo il piede incastrato nel fango…

Alcuni miei compagni tentarono di tirarmi fuori ma invano, mentre le ragazze cercarono dei bastoni per spostare fanghiglia. Nel frattempo un docente e un gruppetto tornarono indietro per cercare aiuto. Nessuno di noi aveva il telefono perché ci era stato vietato, quindi i soccorsi non sarebbero arrivati presto.
Ero tranquillo, pensavo sarebbe andato tutto bene, speravo che sarebbe andato tutto bene.
Ad un certo punto, improvvisamente, il cielo si scurì, vedemmo un lampo e poco dopo sentimmo un frastuono inaudibile. Un fulmine aveva colpito un albero vicino al sentiero che stavamo percorrendo.
Tutti iniziarono ad urlare e correre… Io ero ancora incastrato e adesso avevo paura. In prede all’ansia mi dimenai con tutte le mie forze ma niente, ero stanchissimo.

Vidi che anche l’ultimo accompagnatore con i ragazzi rimanenti scappò via.
Avevo chiusi gli occhi, faticavo a respirare e sentivo molto caldo: l’incendio si era propagato. Temevo il peggio. Poi ricordo solo di aver sentito un lieve rumore d’eliche in movimento perché una frazione di secondo dopo sentii cadere vicino a me un albero, che con un ramo mi colpì violentemente la testa.
Pensavo di esser morto, anzi non pensavo più, sino a quando qualche giorno dopo vidi la luce. Aprivo a malapena gli occhi e capii che ero in una camera d’ospedale. Mi sentivo fortunato. Percepivo un forte dolore alla testa nel punto dell’urto e poi mi venne in mente del piede. Tentai di muoverlo, quando mi accorsi che per metà era stato tagliato. Appena visto l’orrore vomitai sulle coperte.
Poco dopo vidi entrare un’infermiera che mi sorrise: fu felice di vedermi sveglio.
Due giorni dopo venni dimesso con mezzo piede in meno e una storia da raccontare.

Lorenzo D.

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